«Insieme per il lavoro è stato uno dei primi esempi di sussidiarietà circolare in Italia». Parola di Stefano Zamagni, economista, docente Alma Mater e presidente della Pontificia accademia delle Scienze sociali, che lo scorso 7 febbraio è venuto a trovarci nei nostri uffici per una interessante chiacchierata sul futuro della sussidiarietà e del lavoro.
Era il 1991 quando Zamagni scrisse il suo primo saggio sulla sussidiarietà circolare, un tema molto caro al professore, che di Insieme per il lavoro è uno dei maggiori e più illustri sostenitori. Il progetto teorizzato all’epoca sembrava utopistico, invece oggi è realtà. Il concetto alla base è semplice: c’è una triangolazione tra «l’ente pubblico; la business community, cioè il mondo delle imprese; e il mondo degli enti di Terzo Settore, espressione della società civile organizzata». Nel nostro caso la Città metropolitana di Bologna assieme a Comune e Regione, le imprese radicate sul territorio e l’Arcidiocesi di Bologna. I tre vertici del triangolo, secondo un principio di sussidiarietà circolare, interagiscono tra loro in maniera sistematica per coprogrammare e coprogettare, su un piano di parità. Secondo Zamagni «Questa è la formula vincente da ora in poi, la via del futuro».
Un modello tripolare basato sulla reciprocità: «Mentre la sussidiarietà verticale basicamente è una forma di decentramento politico e amministrativo – approfondisce il docente dell’Unibo –, quella orizzontale ha a che vedere con la regola di attribuzione di compiti operativi a soggetti diversi da quelli della Pubblica Amministrazione così da realizzare una cessione di sovranità». Una sussidiarietà, quella orizzontale, che da una parte taglia fuori il mondo delle imprese for profit, dall’altra pone la società civile su un piano di dipendenza. Per colmare le lacune, non si può che ricorrere a un concetto di circolarità e condivisione delle azioni, delle risorse e dei benefici. E’ realmente l’unica strada percorribile?
«La sentenza 131 della Corte costituzionale del giugno 2020 – spiega Zamagni – è il segno che questa è la direzione giusta: lo conferma anche il recente decreto del ministro del lavoro, Orlando, sulle linee guida per la coprogrammazione e coprogettazione» nell’individuazione dei bisogni da soddisfare e delle azioni e delle modalità per farlo.
Una strada nuova, ma dalla storia antica: «Il primo teorico della sussidiarietà circolare – racconta il professore – fu Bonaventura da Bagnoregio, alla fine del 1200. Insegnava filosofia alla Sorbona e aveva sviluppato l’idea del circolo, perché il Dio cristiano è Padre, Figlio e Spirito Santo, che formano insieme un circolo. Bonaventura sosteneva la necessità di riproporre a livello di società civile questa idea, ovviamente con le dovute variazioni. Poi nel 1615 è stato Ugo Grozio a coniare la parola “sussidiarietà”».
Quando parliamo di lavoro oggi il riferimento alla sussidiarietà rischia di sposarsi erroneamente con quello dell’assistenzialismo. «Può verificarsi allora un fenomeno di crowding out , letteralmente “spiazzamento”, ed è pericoloso». In che senso? «Gli interventi in chiave assistenzialistica spiazzano, incentivano la pigrizia e inibiscono il potenziale di sviluppo autonomo della persona». Che fare? «La soluzione non è nel mero sostegno economico (che tutt’al più può avere un carattere transitorio), ma nell’abilitare le persone a raggiungere la nuova frontiera tecnologica, associata all’intelligenza artificiale – da non confondersi con l’automazione. E questo è possibile, purché lo si voglia veramente».